mercoledì 31 dicembre 2014

Bianca di ghiaccio

Bianca non era più giovane.
Il suo corpo custodiva i segni degli inverni, una vena ramificava la sua gamba sinistra. 
Era la traccia del tempo trascorso.
 Blu come il cielo della sua infanzia, cielo così vasto da far venire i brividi. Quando correva da piccola e guardava in alto vedeva le mani degli alberi e le dita del vento che si sfioravano giocando.
I suoi capelli erano ancora forti e ribelli, ma erano sempre più bianchi. Le sue mani tremavano leggermente e il collo aveva pieghe più scure, come il tronco del vecchio susino.
Bianca credeva di aver vissuto molte vite. Era stata bambina, era stata ragazza, era stata giovane, era stata madre. 
Aveva inventato decine di storie, storie di ghiaccio. 
Che ne sarebbe stato di lei, dei suoi amori, dei suoi personaggi, splendidi come statue di cristallo.
Il tempo era crudele e beffardo.
Bianca si aggirava nel castello intricato della sua mente, popolato di creature reali e immaginarie e sorrideva piangendo a tutti loro. Un giorno anche lei sarebbe diventata fragile e incantata, come quelle sculture congelate. Prigioniera di un ricordo incompleto.






giovedì 18 dicembre 2014

Raccontami una storia di Natale



Raccontami, fratello, una storia dal lieto fine imprevisto.

Una storia in cui gli eroi non sono principi, nè nobili guerrieri, ma uomini che lottano tutti i giorni per i proprio cari e per la giustizia.

Raccontami una storia d'amore senza principesse dalla pelle troppo delicata, ma con donne che affrontano le insidie costanti della vita, senza abbattersi. Bellissime donne senza più capelli, eroine della chemio che non accettano di arrendersi al male.

Raccontami una storia di Natale in cui il bambino non è nato con la corona, ma in mezzo alla paglia nell'odore dei campi e delle bestie.

So che ormai è difficile credere in qualcosa, perché rimane sempre l'ombra del sospetto e allora, fratello, la tua storia sarà ancora più sconvolgente, perché conserverà lo stupore dell'infanzia.

Voglio assaporare ancora il ritmo lento delle favole. Abbiamo tutta la notte per noi, parleremo delle nostre speranze più ardite e guarderemo la città accendersi di deboli luci, là fuori.









giovedì 11 dicembre 2014

La città degli specchi

Ho visto in sogno una città costruita con pietre e frammenti di cielo.
Gli edifici erano maestosi e spettrali. Lastre di vetro verde e specchi in cui erano intrappolati i respiri degli uomini.
Tutto ciò che non potrai mai avere, tutti i tuoi pensieri deviati, chiusi per sempre in una cattedrale remota.
Mi specchiai e non mi riconobbi.




C'era una bambina al di là del vetro che mi scrutava con disapprovazione.
Aveva occhi scuri truccati con un ombretto viola e dorato. Ali di una farfalla screziata, dalla vita troppo breve.

- Tu non sei buona come sembri -
Così mi disse; e il suo sorriso era tagliente come una condanna.
- Altrimenti non saresti qui, non saresti arrivata alla città degli specchi -
Non le risposi, il suo abito antico e il suo portamento altero m'incutevano una sorta di istintiva titubanza.




Mi allontanai lentamente, rapita da quel paesaggio terribile e meraviglioso.
Palazzi alti e deserti, racchiudevano pezzi di firmamento, scie di comete precipitate nell'universo, costellazioni lontane dalle geometrie impossibili.
Trapelavano sussurri da quelle architetture fantastiche. In tutte le lingue del mondo sentii piangere e amare decine di donne e decine di uomini.

Quanto dolore, quanto desiderio c'è dentro di noi?



Arrivai infine al lago della città.
M'immersi esausta dal viaggio e dal cammino. L'acqua di ghiaccio abbracciò senza pietà il mio corpo disfatto.


E mi ritrovai bambina nel mio letto.



venerdì 5 dicembre 2014

La tessitrice

Aspetto l'inverno ricamando centrini bianchi di cotone.

Nessuno sa che il soggetto dei miei umili lavori è il cielo. Ricamo stelle e costellazioni, eternamente insoddisfatta del risultato. I miei merletti sembrano ragnatele incomprensibili più che faticosi prodotti di ricerca. I vicini mi guardano con severità o con scherno. Nessuno paga il mio lavoro.

Esco poco perchè le strade sono sempre più affollate e la luce elettrica illumina di azzurro i volti dei passanti. Ciò m'inquieta. Vorrei parlare con qualcuno, ma con chi?


Ho provato a socializzare con la panettiera: le ho portato un mio centrino, quello con la luna piena affondata nel mare, ma lei si è messa a ridere. Pensava che scherzassi.
Anch'io ho sorriso, fingendo un gioco il mio tormento.
La panettiera vende pane e aria; il suo negozio è pieno di nuvole, ma nessuno lo sa.

Lei ora mi guarda divertita, le sue labbra sono sempre così lucide che sembrano strani fiori di mare. Per questo non esco molto.
Sospiro, tra le matasse bianche, nelle stanze vuote. Disfo i merletti con gli occhi fissi al cielo, dietro ai vetri.

   Fabian Perez


Attendo la neve.
Forse con l'argento stellato dei fiocchi tutto sarà più semplice, riuscirò finalmente a completare la mia opera.

Ecco, a tratti riesco anche a vederla: è un enorme tessuto decorato in cui petali bianchi, perle screziate, scie veloci di stelle si intersecano con violenza e con armonia allo stesso tempo. E' la raffigurazione del suono del cielo, una mappa dell'infinito.
Potrebbe occupare una stanza intera. Una stanza che servirà soltanto per sognare.

Si entra senza scarpe e si cammina sull'ordito e poi ci si stende sopra, respirando lentamente, supini. Così si sentirà la musica delle costellazioni e si vedranno le gocce di cristallo, perfette nella loro glaciale simmetria, uscire dal soffitto. Si schiuderanno come gemme minuscole e preziose.

Riapro gli occhi, appagata dal mio progetto, e guardo il mio lavoro.
Non vedo altro che un nodo incomprensibile, un caos di cordicelle e punti inventati, larghi passaggi senza logica.
Le mia dita bianche si confondono tra i fili della matassa e tremano. Sono zampe di ragno decaduto, non riuscirò mai a creare tele meravigliose come le loro.

Mi aggiro per le stanze buie, echeggianti; bevo molta acqua, ascolto la scia delle auto, sotto casa mia.
Poi ricomincio a lavorare.
Accarezzo le perle e piango, pensando alle gocce di rugiada.





giovedì 27 novembre 2014

Il sorriso dell'ignoranza

Tu, che credi di sapere tutto,
tu che conosci le parole dell'adeguatezza,
tu che non sai tollerare i limiti degli altri,
forse hai perso qualcosa.

Non posso apprezzare chi non è capace di sorridere.

Mi dispiace, non posso.

Io vivo con loro,
con tutti quelli che costruiscono case di foglie,
con quelli che inventano le favole e, in fondo, non hanno altro.

Sto con chi non ha ucciso l'infanzia dentro di sé.

Sto con i bambini che lottano per capire, quando per gli altri è tutto così naturale.
Sto con i bambini che si impegnano per giocare e non vengono accettati, perché sono strani.

Sto con chi lotta per camminare
(perché me lo ha insegnato mio padre che era in carrozzina eppure sapeva assaporare il viaggio più di tanti altri).

Tu forse biasimerai noi,
stolti, idioti, ritardati,
ma non sai più ridere
e quindi hai perso.

Balliamo sotto le stelle ghiacciate,
insieme ai nostri fantasmi e alle nostre paure.

Il tempo non ci spaventa.









venerdì 21 novembre 2014

La libertà, anche per te.

Talvolta dimentichiamo chi siamo, da dove veniamo, dimentichiamo che siamo fratelli in questa vita ingiusta e iniqua.

Dimentichiamo che i confini li abbiamo disegnati noi, sulla carta. La terra ha solo confini naturali, montagne, fiumi, deserti, ma a nessuno dovrebbe essere impedito di camminare, di attraversare terre, mari, oceani.

Parliamo di libertà, ma solo perché pensiamo alla nostra libertà. Questa parola, allora, non ha più il significato che le attribuivo.


E' difficile essere onesti, essere giusti, è più facile essere frivoli e vacui.

E anche io a volte non ce la faccio e mi volto dall'altra parte; non vogliamo cambiare troppo le nostre abitudini e fingiamo di non sentire il ragazzo che grida sotto casa.

Cosa dobbiamo fare per tornare a pensare alla libertà per tutti? La libertà è di tutti. Di tutti.


 




 Abbiamo dentro un principio di grandezza e di bellezza. Non è chiaro il motivo per cui dobbiamo costantemente soffocarlo.

Siamo noi gli eroi, eppure non vogliamo crederci.





venerdì 14 novembre 2014

Le creature sotterranee



Aspettiamo nei nostri letti disfatti
la luce bianca e opaca del sole.

Non ci accorgiamo delle radici
nascoste dietro i mobili
della nostra casa.
Sono grosse vene di fango.

Stanno crescendo.
Respirano.


Non dobbiamo temerle,
fanno parte della nostra dolce e crudele avventura.
Raccogliamo i sassi bagnati dalla notte,
e piantiamo nella terra i bulbi,
densi di vita e linfa.

Già sento l'aria sotto la terra,
è il respiro delle creature dell'inverno:
esse dormono, laggiù nel nero profondo,
ma sognano centinaia di fiori,
petali, pistilli, ovari.

Senza di loro non potrebbe sopravvivere la primavera.





venerdì 7 novembre 2014

Out of time

Sono cresciuta all'ombra, nella periferia di una città di provincia. Lì non c'era la bellezza delle montagne, né l'incanto mistico del mare. C'erano palazzi tutti uguali, prati impolverati, cemento sul verde sporco; per me e i miei amici era normale desiderare la fuga e il riscatto.

Erano anni di transizione. Molti di noi non potevano più tollerare le dinamiche delle discoteche, le attese davanti ai buttafuori: sei abbastanza figo per entrare qui dentro, amico? No, non lo sei, vai via, sgombra.

E poi lì non c'era la musica che ascoltavamo noi: i Clash, i Madness, i Nirvana, i Mano Negra. Scoprimmo i centri sociali.

     Foto di Milena Poggio


Luoghi recuperati o sottratti, colori violenti sulle pareti, il cemento assumeva finalmente altre sfumature. L'arcobaleno nelle discariche.

Mi trovai bene, mi trovai a casa. C'erano persone come me, considerate strane dagli altri, considerate eccentriche o semplicemente out.

E anche la mia piccola opaca provincia sembrava illuminata da una luce nuova, rossa come la brace, blu come la profondità dell'abisso, viola come l'amore senza speranza.

Noi eravamo il futuro, noi potevamo cambiare le cose.

Oggi siamo uomini, ma non siamo noi al comando? Abbiamo portato quei colori fuori da lì?

Forse non dovremmo dimenticare i sogni della nostra fottuta adolescenza.







giovedì 30 ottobre 2014

Fotografo la vita

Fotografo la vita, senza smartphone, senza IPad.
Fotografo la vita con la mente,
le gocce d'acqua sulle foglie secche dei tigli,
come perle di vetro,
le gocce di pioggia,
tiepide come i ricordi,
sbiadiscono,
evaporano.

Fotografo la vita,
qualche volta,
e quando ci riesco,
sorrido.
Per tutte quelle istantanee
che diventeranno fumo leggero in me,
che diventeranno
vago sentimento,
e poi spariranno.


Fotografo la vita,
ora, mentre scrivo.
E sono solo una voce
dentro al mio silenzio,
sono una voce
che cerca una melodia,
ostinata,
beffarda,
sbagliata.

Mi manca il tramonto, mi manca l'ultimo raggio del sole, mi manca il rumore dell'acqua...
E allora
fotografo ancora una volta la mia vita imperfetta,
perché è lei la mia storia.






giovedì 23 ottobre 2014

Il cacciatore di emozioni

Lo amai senza alcuna speranza.
Mai avrebbe potuto capirmi, mai avrebbe potuto sopportare la mia fragilità.
Io vedevo il vento. 
Nell'aria c'erano le voci dei morti, mi raccontavano poesie che parlavano di ricordi sconnessi, laghi prosciugati, fiori dentro la terra. 
Io sentivo il rumore della pioggia, era una canzone antica, in un linguaggio remoto, difficile da tollerare.
E lui rideva. Rideva di me e di tutte quelle stranezze. 
Il mondo era lì per lui, si aprivano decine di porte, decine di possibilità.
Non avrebbe potuto fermarsi con me, lui non poteva fermarsi mai.


Era un cacciatore di emozioni, le donne erano tutte attraenti, ma nessuna lo appagava pienamente. 
La bionda, la mora, quella piccolina, quella ingenua, quella saggia... Non basta, non basta ancora. 

Lui viaggiava come un vagabondo, era libero, eppure non era mai sazio. 

Io vedevo le sue catene e le sue ali ferite, perdeva sangue ogni volta che mi abbracciava. 

Decisi di abbandonarlo, lui sul marciapiede, lo sguardo annegato nel silenzio. 

Io più forte, forte per una volta, forte per l'ultima volta. 

Il cacciatore imparò una nuova canzone, aprì le mani e si accorse di tutto il sangue che aveva perso. 










mercoledì 15 ottobre 2014

Tutte le canzoni del mondo

Io non sono perfetta, ho sbagliato e sbaglio ancora.

Sbaglio quando non vivo il presente, lasciando sfuggire gli attimi, gocce preziose della mia linfa.

Sbaglio quando non guardo negli occhi la persona che ho davanti, pensando che intanto avrò tempo per dirle tutto.

Sbaglio quando non guardo il cielo, le foglie, le ombre e il respiro della luce.

Sbaglio quando sono distratta e non ascolto le storie dei bambini, anche se sono interminabili e incomprensibili.

Sbaglio quando non assaporo il vino e il caffè con gli occhi chiusi.

Sbaglio quando chiudo le porte al mio mondo magico e a quello degli altri.

                 

Insegnatemi, bambini, a diventare vecchia senza dimenticare la bellezza dell'infanzia e della pazzia.

Insegnatemi, uomini che siete dall'altra parte, il segreto per essere adulti, senza perdere ogni barlume di innocenza.

Canterò tutte le canzoni del mondo, perché avrò così tanto amato che conoscerò tutti i vostri nomi e tutte le vostre favole.







martedì 7 ottobre 2014

Il bambino del vento

Tanti anni fa incontrai un bambino. La sua voce era imprigionata tra i rami degli alberi. Era una voce frusciante e remota, sapeva di ragnatele e comete troppo veloci, troppo lontane.

Lui era bello, gli occhi erano azzurri, limpidi, ma impenetrabili. Eppure non sapeva giocare con i compagni. Un'onda si impossessava di lui, talvolta, e lui si abbandonava a lei, diventando vento e tempesta.

Allora lo vedevo, era lontano in un oceano ghiacciato e sterminato. Laggiù non c'erano appigli, c'era solo acqua scura e silenzio.

Volevo recuperare la chiave segreta che apriva la porta della sua mente, saper interpretare le tracce che lasciava, per farlo uscire da lì. Volevo aiutarlo a trovare la sua voce prigioniera di un incantesimo incomprensibile.


Se si trova la chiave il bambino del vento riuscirà a sorridere e, forse, imparerà a sopportare tutte le banalità del mondo, mi dicevo.

Ma poi capivo che dovevo solo imparare ad ascoltare.
Non subire, non indagare, ma aprire gli occhi e guardare tutto dalla sua prospettiva.
C'erano galassie collegate da fili d'argento nel cielo, me lo disse lui.
E io non l'ho più dimenticato.






mercoledì 1 ottobre 2014

Le stanze di Paolo Vergnano


Paolo Vergnano è un fotografo, ma è anche uno scrittore. Racconta con le immagini storie di interni distrutti dal tempo e dall'incuria, eppure ancora abitati da sogni e visioni. Nascono funghi nelle sue stanze, la natura riprende il possesso di ciò che l'uomo ha abbandonato. 



Stanza 1 (a volte sento dei suoni nel campo)


Animali esotici appaiono, ma sono allucinazioni o desideri repressi. Il mondo animale e quello umano si fondono.


 Stanza 3 (c'eravamo tanto amati)

Gufi o uomini e donne? Il vetro è rotto, gli sguardi sono distanti.



Stanza 4 (questa casa non mi appartiene)

In Questa casa non mi appartiene la zebra è come un giovane che abbandona la casa della propria infanzia, il contorno delle cose si addolcisce, la fotografia diventa illustrazione e pittura.



 Stanza 11 (non sento più niente)

Ma la natura nei quadri di Paolo Vergnano, talvolta, sembra sofferente. Come in Non sento più niente, l'otaria distesa sul vecchio forno è indolente, immobile e apatica. Cosa abbiamo fatto al nostro mondo? Cosa abbiamo fatto agli animali, prigionieri di stanze distrutte e fatiscenti? Cosa abbiamo fatto a noi stessi? La nostra civiltà è in decadenza, eppure qualcosa ancora respira tra le ragnatele e la polvere.

Stanza 8 (siamo stati bene insieme) 

Funghi, animali, esseri sopravvissuti all'uomo e al suo egoismo. Come dopo l'apocalisse, Paolo Vergnano ci racconta, con le sue foto, che la natura può salvarsi e salvarci.



http://www.paolovergnano.it/


lunedì 22 settembre 2014

L'età dell'attesa

Ci fu un'epoca, tanti e tanti anni fa, in cui tutti aspettavano.

Aspettavano il treno, l'autobus, il loro turno al banco dei salumi o alle poste.

Aspettavano anche di lavorare, perché il lavoro non c'era più; aspettavano la persona giusta da amare, perché negli altri non si vedevano più i pregi, ma piuttosto gli insopportabili difetti.

Aspettavano per avere dei figli e infine i figli non arrivavano più, non per crudeltà, ma perché ormai i loro corpi erano diventati vecchi.
Aspettavano tutti, da sempre.
Ma non si annoiavano, perché avevano svariate possibilità di svago. Erano passati i tempi grigi della televisione, ormai si viveva nell'era degli specchi magici. Tutti possedevano, infatti, degli specchi che consultavano con accanimento. Lì c'erano proiettate le parole degli amici, le foto, lì c'erano le notizie del mondo, lì c'era una possibile via di fuga. Grazie agli specchi incantanti le persone si sentivano meno sole e non si rendevano conto che la vita scivolava via, fuori dal tempo.

Si sognava una rivoluzione, ma non si aveva la forza di agire. Il sogno aveva preso il posto della realtà, ma non era entusiasmante, perché nulla era vero.

Alcuni uomini e donne si accorsero dell'inganno, distrussero gli schermi, tornarono a sporcarsi le mani di terra e sudore. Ma ancora non sappiamo che ne sarà di loro e della loro età sospesa e incerta. Di certo sappiamo che quella fu un'epoca soggetta a passioni fugaci e ingannevoli. I veri eroi rimasero nel limbo, sconosciuti, silenziosi, ma vivi.




lunedì 15 settembre 2014

Il fungo

Il bruco aveva occhi come fessure di tronco. Fumava il narghilè e forse non si era accorto della mia minuscola presenza.
Aveva un volto conosciuto, dove lo avevo già visto? 
- Chi sei tu? - 
La sua voce apparteneva al mio passato, un'onda amica, conosciuta.
- Alice - risposi.
- Avvicinati - 
Ubbidii. 
L'ombra era una sostanza quasi liquida, accarezzava il bosco, le foglie della quercia e il fungo su cui lui era sdraiato. 
- Cosa sai fare, Alice? -
Era una domanda difficile, a lui non si poteva mentire, lo sapevo.
- So guardare i tramonti - improvvisai.
- Troppo poco, non basta -
Cosa potevo dirgli? Le sue sopracciglia si erano pericolosamente increspate. 
- Mi piace stare con i bambini, giocare con loro, vederli felici -
Non sembrava ancora soddisfatto.
- E so inventare delle storie -
- Davvero? Raccontamene una allora, mi sto annoiando e il giorno è ancora così lungo -
Mi sedetti sotto al fungo, osservavo le dolce geometria delle lamelle sotto al grande cappello. 
Il bruco chiuse gli occhi pronto a entrare nel mio sogno.

C'era una volta una bambina che non aveva paura dei precipizi. Si avvicinava al bordo dei dirupi e allargava le braccia ridendo. Un giorno però il suo equilibrio non bastò, il vento era troppo forte. la bambina cadde. Faceva male rotolare giù, le rocce erano spietate, gli alberi non riuscirono a trattenere la sua caduta rovinosa.
La bambina si ritrovò in un bosco umido e buio. Non poteva più camminare. Strisciò con le mani per ore. Le formiche pensarono fosse una sirena che aveva smarrito la strada e la scortarono.
Tu conosci il buio? Non è completamente nero, ci sono i colori, ma sono attutiti, spenti. Lei lo sapeva, per questo non aveva paura dell'oscurità. 
Conta fino a cento, si diceva, conta fino a cento e non morirai. 
Sopravvisse quella notte e anche tutte le altre, perché allenò le sue braccia e diventò veloce come uno scoiattolo. Visse sugli alberi, protetta dai gufi e dagli insetti, suoi amici. E ancora oggi puoi trovarla, nelle sere d'estate, sui castani più alti. E' una fata dei boschi e vive di vento e rugiada. 

- Le fate sono esseri pericolosi. Ingannatrici, dispotiche. Stanne alla larga - disse il bruco.
- Mangia un pezzo di fungo e ogni cosa ti apparirà più chiara -
Staccai un frammento morbido del cappello. Era bianco sotto e arancione sopra come il sole che muore all'orizzonte. 
Il mio corpo si indurì, forse è la fine questa. Ma no, stavo solo crescendo. 
Addio piccolo bruco, addio fungo e fate dei boschi. Questo pensavo, ma non era vero. 

Cammino per le vie straziate dal grigio eppure vedo ancora le porte magiche che conducono dall'altra parte. 




mercoledì 10 settembre 2014

ti amerò fino alla fine del tempo

Fino alla fine dei miei giorni,
fino all'ultimo respiro
che mi verrà concesso.

So che siamo sbagliati,
riconosco tutti i nostri errori,
eppure vivo in te.

Insieme costruiamo una casa piena di vento.
Polvere e desideri sulle lenzuola,
distruggi tutte le mie paure di bambina,
riducile a una manciata di polline,
via
nell'aria.
Dimenticando tutto,
io plasmo la tua schiena,
ogni volta è diversa e nuova,
per me.

Tu che mi hai visto piangere,
tu che mi hai visto cadere,
fissare il marciapiede,
perdermi nel rumore assordante della notte,
tu,
mi accarezzi e
sorridi
quando varco il limite.

Solo più nuvole
e il giardino della mia infanzia.
I petali si sono aperti,
le perle d'acqua non fanno male, scivolano via veloci
e io e te,
come all'origine,
respiriamo.








mercoledì 3 settembre 2014

Il mondo in una biglia

In una biglia una volta ho visto una cascina capovolta.
Avevo 9 anni.
Ho detto a mia sorella - Qui c'è un mondo magico -
Lei non era una stupida - Non è vero! E' la cascina che c'è lì, davanti a noi! -
- E' un mondo molto simile al nostro, ma ci sono piccoli particolari diversi. Guarda, lì c'è un'ombra, forse è una persona, una persona che non è qui, ma è solo dall'altra parte -
- Davvero? -
Annuii con convinzione.
Lei osservò di nuovo la biglia.
- E' vero... -
Io e lei spettatrici di un prodigio.

Nella sfera c'era una ragazzina bionda che ci guardava e ci salutava. Accanto a lei una bambina più piccola sgranava gli occhi, non sapeva se crederci. Scendeva la neve, come nelle palle di vetro in cui è sempre Natale. Ma loro non avevano paura della bufera, si stringevano e diventavano sempre più sfocate, lontane.

Cosa vedo oggi nella biglia? Tutto il mio universo, la scia dell'onda, il cielo quando precipita, le parole sussurrate dal fuoco e tutti i giorni, preziose gocce racchiuse nel mio palmo.

Dormi, dormi bambina, non aver paura di sognare, ma poi apri gli occhi e inizia a camminare.




lunedì 11 agosto 2014

I ricordi perduti

La città si svuota, si riempiono le spiagge. La città ha corridoi infiniti, pieni di speranze e di voglie represse. I superstiti si aggirano assonnati, forse il sogno che stanno vivendo non gli piace. Vorrebbero svegliarsi e trovarsi diversi.

È un’estate fatta d’acqua. Temporali improvvisi sconvolgono il cielo; le nuvole sono le splendide, crudeli, protagoniste dell'orizzonte e dei nostri giorni.
Non fa che piovere. Le gocce sono i ricordi perduti. I ricordi di chi non c’è più. Scivolano via, sui vetri e sui nostri visi.

Cammino nel silenzio e con me ci siete anche voi, così tanto amati. Non si possono più sentire le vostre voci, ora adirate, ora sciocche, ora annoiate… Ma si sentono i vostri pensieri, liquidi, come fatti di nuvole. Mi mancate. Lo sapete. E l’estate è diventata una terra straniera, parla una lingua nuova, nemica, ostile. Voi sorridete, ma io non posso capirvi. Voi siete luce e tenebra, io sono povera carne.

Mi manca tutto di voi e a volte i vostri sussurri non bastano, ma non importa. Questa quiete finirà, la città tornerà ad agitarsi, il frastuono coprirà i vostri pensosi silenzi. Eppure non passerà questo desiderio, non passerà quest’ossessione. Dove se ne vanno tutte quelle immagini che erano dentro di voi? I volti delle persone amate, il mare, quella pedalata con Fabrizio, l’amico d'infanzia, quella volta in cui tu avevi pianto per lei e lei se ne era andata. Nell'aria danzano migliaia di frammenti di luce, pulviscolo, favole incomplete. Forse diventeranno così i nostri ricordi perduti.








lunedì 28 luglio 2014

La volpe rossa

Ho le mani forti padre e non ricordo più il mio tempo.
Ho corso per notti intere nei campi deserti, cercando la terra, ma non ho trovato altro che erba.
Nella notte le colline parevano rivestite di un pelo fitto, blu ed io non riuscivo a fermarmi. Spesso mi trovavo a carponi, nel buio. Mi vedevo tastare le zolle umide in cerca del varco. La luna, sopra di me, era ora un teschio, ora una pietra enorme, sospesa, attaccata ad un filo invisibile. Potevo vedere i suoi crateri, le valli ghiacciate, forse lì si nascondeva la tana della volpe. Forse era per questo che non riuscivo a trovarla...

Prima di partire tu mi avevi detto - Procedi verso nord, attraversa la Pianura e troverai le colline. Lì c'è il nascondiglio della bestia. Non avere fretta, perlustra il terreno con cura -
A cosa è servito questo viaggio?
Sono qui, ora, padre, che gratto la terra. Non ho trovato nessuno.

Ma all'alba accadde qualcosa.
L'aria era chiara. Il cielo aveva il riflesso delle perle.
La volpe era davanti a me.
Mi osservava.
Aveva il pelo rossastro e ispido. Fili di rame. Gli occhi verdi, grandi e pensosi.
- Eccoti! - mi scappò dalle labbra appena la vidi.
Lei balzò indietro di qualche passo. Si acquattò un poco nell'erba.
- Devi aiutarmi - le spiegai. Avevo la gola secca. La mia faccia era sporca di lacrime e bava.
- La nostra casa è bruciata. Il fumo ha invaso le stanze. Le pareti sono nere di caligine. Non abbiamo più niente - Avrei voluto continuare a parlare, spiegarle la situazione della mia famiglia. Avrei voluto commuoverla. Ma non riuscii a dire altro.
La volpe aveva un muso da cane. Aprì le fauci, come per ridere, ma i suoi denti erano gialli, aguzzi.
Fischiò.
Le colline rimasero ferme. Io no: tremavo.

Ero sull'erba, supina. Le nuvole si muovevano lentamente sopra di me. Era un film che avevo già visto. Mi voltai.

La nostra casa era come un tempo: le pareti bianche, tinteggiate da poco, i gerani rossi alle finestre. La mamma stava spazzando via la polvere dal cortile. Corsi verso di lei. Il suo viso era bagnato dalla luce dorata del tramonto. Lei mi sorrise: i denti erano appuntiti. Li riconobbi.
Era il prezzo, capisci? Il prezzo da pagare, padre.
- Hai perso la tua innocenza - mi disse quel giorno.
- Non sei più una bambina! - forse voleva rimproverarmi.
I suoi occhi erano castani, lignei. Ma le labbra erano morbide, rosate come prima del grande incendio. Ci abbracciammo.





venerdì 11 luglio 2014

un'estate passata a guardare la metamorfosi delle nuvole

Il blog, come l'anno scorso, rallenta per ferie.

Poche parole per salutare chi, fedele e silenzioso, legge le mie righe strampalate e mi fa compagnia con la sua muta presenza.
Posterò però, in questi 2 mesi, qualche racconto lungo, riesumato dai famosi cassetti polverosi che hanno tutti quelli che si ostinano a scrivere...
Buon cammino e a presto.





venerdì 4 luglio 2014

Il mio nuovo piccolo sogno

Non parlerò del nuovo libro. Eppure vorrei, ma non posso. Non posso parlarne perché è ancora un libro non pubblicato, eppure ne ho l'esigenza.

E' un romanzo di formazione, parla dell'amore e della morte, vicini e intrecciati. Nulla di nuovo, quindi. Non pretendo di aggiungere nulla a quello che è già stato scritto; è solo un viaggio nel mio mondo parallelo, in uno dei miei mondi paralleli.

E' ambientato negli anni 90, a quell'epoca io avevo l'età dei miei protagonisti, 16-17 anni. L'età dei cambiamenti profondi e inarrestabili, l'età in cui l'amore ti brucia la pelle e l'anima in un incendio rapido e crudele. Ma è anche l'età in cui ami ancora giocare, esplorare il mondo, avvicinarti al precipizio solo per il gusto di farlo.

Ogni tanto forse la mia scrittura è troppo rapida, forse salto dei passaggi e il lettore si ritrova di colpo alla fine della storia, come su una montagna russa, emozionante, ma eccessivamente veloce. Non lo so, me lo dirà chi lo leggerà. Non so che ne sarà di questo libro, La memoria degli alberi è stato per 6 anni nel cassetto, ignorato dalle case editrici a cui lo avevo inviato. Poi al Premio La Giara, Dacia Maraini, Ginevra Bompiani, Pier Luigi Celli, Antonio Debenedetti dicono che può andare. E il mio manoscritto diventa libro.

Spero che anche questo romanzo potrà essere pubblicato, ora non ci resta che attendere, attendere, attendere e correggere, naturalmente.



Foto di Ellen Kooi





venerdì 27 giugno 2014

La bambina sommersa



- Zio? Non vorrei più uscire. Vorrei chiudermi in casa per giorni. Guardare le stelle brillare sul soffitto, piangere forte per non sentire questo silenzio.

Ho tanto amato, zio, forse per questo temo di uscire di casa. Le vie della città sono sentieri bui di un vasto labirinto e gli alberi sono maschere di ferro... Non posso sentire ancora le loro voci. Mi fanno male.

- Non temere - mi disse lui - Chiudi gli occhi bambina, riposa -

Le sue mani erano scure, erano mani da uomo, ma i suoi occhi erano dolci, da cane. Gli sorrisi. Non riuscii a dormire, ma sognai con lui villaggi luminosi, vecchie cascine piene d’aria, pini gonfi di vento.







venerdì 20 giugno 2014

Ballando sul bordo

Ballando sul bordo del precipizio
ho visto tutti i giorni mancati,
la cenere del vulcano, sui miei piedi,
il fumo nell'aria dell'estate,
il mare,
che ho così tanto amato,
il mare che mi porto dentro,
come una maledizione perpetua,
il mare,
così lontano da me,
si muoveva all'orizzonte.
Era inutile gridare,
tanto nessuno mi avrebbe aiutato.

Ballando sulla terra nera,
ho perso la cognizione del tempo e delle cose,
nella vertigine
la spirale,
e il vortice.
Ho sete, fa troppo caldo,
potrei non farcela questa volta.
Tu lo sai e sorridi.
E' la nostra battaglia,
ma nessuno vincerà.








giovedì 12 giugno 2014

Io e l'invisibile

Io, poco dotata di acume, portata alla dimenticanza e all'evasione, io non sono che una mano.

Una mano sulla tastiera, una mano sul foglio, una mano che trascrive le voci degli altri.
Nient'altro che trascrizione.

Sono approssimativa, imprecisa, ignorante. Eppure mi ostino a ascoltare qualcuno che parla dentro di me, non la smette mai.

Cercherò le parole più appropriate, i colori esatti per la loro favola. Blu tempesta, giallo destino, rosso meraviglia, verde nostalgia, nero nascita.

E voi, creature orgogliose e dispotiche, abbiate più pazienza con me, non ho tutto il tempo che vorrei, ho solo queste briciole di vita per voi.
Voi, creature delle mie storie, siete giovani e forse non capite i miei assilli quotidiani, ma vi perdono, perché siete sostanza viva in me, linfa densa di ricordi, siete immagini luminose che accompagnano i miei giorni trafelati. Siete la quiete del silenzio recuperato e l'emozione del temporale inatteso. Siete lampi di sole in me.

Aspettiamo insieme il tramonto, io e voi. Io reale e voi invisibili. Ma che importa, il cielo voi lo conoscete, prendiamoci questo instante, tutto per noi.




giovedì 5 giugno 2014

Terra-aria.

Vivo in fondo a un buco.
Mangio troppo velocemente le radici sporche di terra,
il cielo è tutto ciò che ho,
prigioniera
da non so quanto tempo,
i giorni possono essere lunghi come anni;
prigioniera
non posso fare altro che pensare.
Ti ricordi quando eravamo felici?
Allora potevo camminare,
potevo correre,
le gambe erano forti,
non erano deformate dall'immobilità.
Ti ricordi i prati a primavera?
I fiori gialli erano abbaglianti,
l'erba accarezzava i nostri piedi
e tu avevi negli occhi tutte le stelle d'agosto
precipitate dentro di me.
Ti ricordi il rumore delle foglie su di noi,
quando il vento le faceva cadere
e noi ridevamo forte,
come bambini,
senza nessuna malizia,
sereni perché eravamo insieme,
sereni perché non pensavamo al domani.
Cosa sono ora io?
E tu, dove sei? Cosa aspetti a liberarmi?
Non posso attendere un altro inverno,
getta la fune verso di me,
fammi uscire da questo nulla,
perdonami.
Torneremo a guardare il fiume,
te lo prometto
e piangeremo guardando il sole annegare
nel cielo,
un'altra volta.








venerdì 30 maggio 2014

La poesia di chi ha perso le parole

C'era una volta un uomo che aveva avuto un'emorragia cerebrale.
Si chiamava Oreste e io ho avuto la fortuna di conoscerlo molto bene.
Era il 1986, lui aveva 39 anni.
Ictus.

Si risvegliò dal coma e decise di vivere, di vivere sul serio. Tutta la parte destra del corpo lesionata, doveva ricominciare a camminare, passo dopo passo.
La mano destra era persa, incominciò a scrivere con la sinistra. Con caparbietà, ogni giorno si sedeva alla scrivania e muoveva la mano sul foglio. Ogni frase era una conquista. Le parole spesso gli sfuggivano, era afasico, eppure non disperava, le cercava con ostinazione.

Dal luglio 2011 Oreste non c'è più, ma abbiamo trovato i suoi diari e, di colpo, lui torna a parlare.


 L'afasico poeta

8 Maggio 1987 Lunedì

C’è una prima volta, una, almeno la penna scrive qualcosa.
Sono un fannullone, ma non importa.
C’è l’idea sballata, ma almeno incomincio, poi si vedrà.
Oggi ho fatto una scoperta.
Le margherite sono gialle.
Il bianco è incolore. Il nero è scuro (oppure cupo) e cattivo. Bandiera rossa non trionferà. Il verde adesso è bello. La casa è grande. Alice e Anita parlano con papà.
Oreste è ben fesso! Certe parole sono giuste. L’acqua è buona. Il telefono, una voce amica. Vorrei parlare di Dio.
Adesso dico parole a caso: Aosta, Firenze, Pisa, Alessandria, Torino, Milano, Venezia, Trento, Trieste, cuore, polmoni, fegato, milza, naso, Messina, castello, lana, nonno, Luciano, rana, formica, la cicala, il colibrì, Andreotti, Giolitti, De Mita, Colombo, Craxi. Oddio, ancora parole senza senso.

19 ottobre 1987 Lunedì

E’ importante leggere e scrivere; altro non importa.
Io sono tutto matto, più o meno.
Adesso ho voglia di fare, ma la mente è sempre pronta, vorrei che tutto fosse strano, diverso, ma il baratro è sempre in agguato.
Le parole sono un po’ contorte, ma io ho voglia, io devo, io voglio, io canto, io rido, io scherzo, io amo, io ridacchio, io sono certo di essere profondamente umano e tutto ciò ci dà la forza per andare sempre più avanti.
E’ tardi, ma sono contento veramente.

Ciao, saluti e fecondità. 






giovedì 22 maggio 2014

C'è bisogno di un eroe

C'è bisogno di un eroe. In un tempo senza virtù, in mezzo a centomila stimoli, centomila immagini, e troppe canzoni per la testa..
Troppi bravi cantanti, troppi scrittori e poeti, troppi fotografi e gli artisti non sanno più cosa inventare di nuovo. Sei stato in televisione almeno una volta? Se non ti è capitato, non ti preoccupare, accadrà e non sarà poi così esaltante...
Siamo tutti così impegnati a esprimere noi stessi che non ascoltiamo più gli altri, perchè vogliamo essere noi gli attori principali sul palcoscenico. Noi, magnifici; noi, sempre giovani.
Eppure qualcosa non torna. Perchè non c'è nessuno che ci guarda?

C'è bisogno di un eroe, di qualcuno che voglia pensare agli altri, sul serio. Di qualcuno che non voglia essere il primo, che ceda il passo agli altri.
E ci tornano in mente le favole che abbiamo letto da bambini, gli uomini leggendari che lasciavano l'aratro nel campo e poi, dopo un periodo di gloria, tornavano ai loro lavori modesti.

C'è bisogno di un eroe, anche oggi. In mezzo al frastuono, in mezzo al nulla del tutto. Basta risse, basta volgari promesse, basta proclami. C'è bisogno di onestà, ma anche di umiltà. Questa, ormai, è la virtù più rara e preziosa.







giovedì 15 maggio 2014

Parole e musica. San Salvario come Parigi

Sai che ti dico? Avevo così tanto sognato Parigi che quando l’ho vista sono rimasta delusa. Dov'erano gli artisti? Dove il fermento? Era bella certo, era bella come Firenze o Roma, ma non c’era quello che cercavo… Non era quello che avevo immaginato.

Torino. Mi avevano detto che era come Alessandria, solo più in grande. Piazza San Carlo è come Piazza Garibaldi, cambiano solo le dimensioni. Eppure c’era qualcosa di diverso, c’era l’atmosfera che avevo cercato così tanto, era lì, a San Salvario, proprio davanti ai miei occhi.


Sabato 10 maggio ho letto alcuni brani de La memoria degli alberi alla Piadineria degli artisti, in Corso Marconi e la magia si è ricreata. Il suono della fisarmonica e della ghironda erano l’accompagnamento perfetto per le mie parole, perfetto perché non lo avrei mai sospettato. Perfetto perché inconsueto. E mi hanno riportato indietro per un istante, ai miraggi di allora.

Forse ognuno di noi, un giorno trova la sua Parigi, la sua patria, la sua casa.


 


 Ringrazio il musicista Alessandro Zolt e Raffaella della Piadineria degli artisti.  E ringrazio San Salvario, perché è la mia piccola Parigi personale.



Foto Marzia Grossi





giovedì 8 maggio 2014

io ti cerco


Io ti cerco,
ti cerco da anni,
capovolta,
il cielo è sotto di me. I piedi calpestano le nuvole, sono fredde.
Tocco la tua pelle,
ricorda l’estate. Ricorda il mare quella volta in cui tu non riuscivi a sorridermi.
E io gridavo

Io ti cerco
Ti cerco da millenni,
ogni volta è diverso, ogni volta io inciampo nella sabbia.

Le mie mani si sporcano, i capelli finiscono negli occhi.
Picchiarci non serve, odiarci non serve.

Io ti cerco
e tu
d’improvviso,
ci sei.





sabato 3 maggio 2014

Stone of light


Testimone di un martirio annunciato
Smarrisco il mio ruolo.
Cantastorie muta,
musicista stonata
cammino per un sentiero angusto.
Tra l’erba alta.
Il sole,
pietra di luce,
è una meta sfuggente.
Un richiamo.
(dicono che il suo canto renda sordi).

 



venerdì 25 aprile 2014

Non si può scrivere

Non si può scrivere quando c'è una ferita nuova.
Quando il sangue è fresco, ancora così rosso e ingenuo. Non si può scrivere, si racconterebbero solo storie vuote, gusci senza seme, non si può.
Oppure si può scrivere, consapevoli della propria miseria e della fragilità di chi se ne è andato. La sua fragilità è anche la mia, la nostra.
E' uno strano 25 aprile. Lo ricorderò finchè non verrà anche il mio 25 aprile.
E non è più un giorno di festa, ma un giorno di mancanza.
Eppure, forse, non ho capito niente. E ora lei è libera, finalmente, oltre la prigione del dolore.
Tutti voi che ve ne siete andati... Tanti, troppi in questi pochi anni, tutti voi siete i miei miti personali. Tutte le vostre piccole, grandi storie finiranno nelle mie pagine e non importa se non diventerò una scrittrice famosa, voi sarete sempre i miei splendidi piccoli eroi...
Ti voglio bene e te ne vorrò sempre.





giovedì 17 aprile 2014

Fiaba balcanica


Le montagne dietro le loro case erano brulle e ventose. Non c’erano villaggi lassù, c’erano solo tane di topi dal pelo marrone striato di polvere e formicai profondi scavati nella terra secca.


Mirko e Anghelka lo sapevano perchè spesso, nei pomeriggi di sole, si arrampicavano fin là per distruggere un po’ di città sabbiose brulicanti di formiche. Quel gioco però, non piaceva molto ad Anghelka perchè le ricordava il suo paese che era diventato grigio e pieno di buchi per la guerra. Per questo un giorno si ribellò.


Le nuvole erano enormi e scure sopra di loro. Parevano pance di draghi gonfie d’acqua. Anghelka rabbrividì mentre Mirko, con un bastone, si apriva un passaggio tra le sterpaglie secche.


- Eccolo! - esclamò lui, ad un tratto, chinandosi. Le nubi proiettavano una luce ingiallita quando il ragazzo, con un ramo sottile, allargò il buco nel terreno arido. Le ombre blu dell’erba alta non riuscirono a nascondere ad Anghelka la vista del formicaio scoperchiato: là c’erano vicoli e strade affollate di formiche nere, puntini impazziti che correvano in tutte le direzioni.


- No! - gridò quel giorno la bambina. Ma Mirko, con una bastonata, distrusse il rifugio sotterraneo. Aveva occhi opachi, grigi come il ferro.









Anghelka non tornò a casa con lui. Fino a che la luce del tramonto non si fece rossa, lei si ostinò a costruire piccoli ponti e passaggi con fili d’erba e pietruzze. Ma il formicaio era stato abbandonato. La sua città era deserta.