venerdì 25 aprile 2014

Non si può scrivere

Non si può scrivere quando c'è una ferita nuova.
Quando il sangue è fresco, ancora così rosso e ingenuo. Non si può scrivere, si racconterebbero solo storie vuote, gusci senza seme, non si può.
Oppure si può scrivere, consapevoli della propria miseria e della fragilità di chi se ne è andato. La sua fragilità è anche la mia, la nostra.
E' uno strano 25 aprile. Lo ricorderò finchè non verrà anche il mio 25 aprile.
E non è più un giorno di festa, ma un giorno di mancanza.
Eppure, forse, non ho capito niente. E ora lei è libera, finalmente, oltre la prigione del dolore.
Tutti voi che ve ne siete andati... Tanti, troppi in questi pochi anni, tutti voi siete i miei miti personali. Tutte le vostre piccole, grandi storie finiranno nelle mie pagine e non importa se non diventerò una scrittrice famosa, voi sarete sempre i miei splendidi piccoli eroi...
Ti voglio bene e te ne vorrò sempre.





giovedì 17 aprile 2014

Fiaba balcanica


Le montagne dietro le loro case erano brulle e ventose. Non c’erano villaggi lassù, c’erano solo tane di topi dal pelo marrone striato di polvere e formicai profondi scavati nella terra secca.


Mirko e Anghelka lo sapevano perchè spesso, nei pomeriggi di sole, si arrampicavano fin là per distruggere un po’ di città sabbiose brulicanti di formiche. Quel gioco però, non piaceva molto ad Anghelka perchè le ricordava il suo paese che era diventato grigio e pieno di buchi per la guerra. Per questo un giorno si ribellò.


Le nuvole erano enormi e scure sopra di loro. Parevano pance di draghi gonfie d’acqua. Anghelka rabbrividì mentre Mirko, con un bastone, si apriva un passaggio tra le sterpaglie secche.


- Eccolo! - esclamò lui, ad un tratto, chinandosi. Le nubi proiettavano una luce ingiallita quando il ragazzo, con un ramo sottile, allargò il buco nel terreno arido. Le ombre blu dell’erba alta non riuscirono a nascondere ad Anghelka la vista del formicaio scoperchiato: là c’erano vicoli e strade affollate di formiche nere, puntini impazziti che correvano in tutte le direzioni.


- No! - gridò quel giorno la bambina. Ma Mirko, con una bastonata, distrusse il rifugio sotterraneo. Aveva occhi opachi, grigi come il ferro.









Anghelka non tornò a casa con lui. Fino a che la luce del tramonto non si fece rossa, lei si ostinò a costruire piccoli ponti e passaggi con fili d’erba e pietruzze. Ma il formicaio era stato abbandonato. La sua città era deserta.







giovedì 10 aprile 2014

La ballata dei pazienti

Balliamo in reparto. Abbiamo messo le canzoni dei Beach Boys e ridiamo, guardandoci negli occhi come solo chi ha poco da perdere sa fare.
Balliamo e non importa se siamo malati, ce ne infischiamo della nostra malattia, che vada al diavolo.
Serena non sa quanto le resta, ha già perso tutti i capelli e non è la prima volta.
Serena ha luci di bosco negli occhi, mi dico che sono stato un pazzo a non accorgermene.
Io ho il cuore che non sempre mi segue, a volte se ne va per conto suo, galoppando nel vento.
Poi c'è Dario che ha perso entrambe le gambe eppure ancora sa andare in moto, se si concentra vede i paesi e i campi che si susseguono, come un tempo.
Balliamo ed è primavera anche per noi, prigionieri del nostro corpo così fragile.
Se mi spezzo non importa, se mi spezzo io so che ci sono stato e che ho tentato fino alla fine.
E allora tutte queste parole non avranno più alcun significato.
Balliamo in Medicina 2 e la dottoressa S. ci osserva con un sorriso d'invidia e rammarico.
- Venga anche lei! - le dice Dario che sa danzare benissimo in carrozzella, muove le ruote come se fosse sul surf.
Percorriamo tutto il corridoio con la musica dentro di noi.
Forse un po' più in là si arriva alla spiaggia.





giovedì 3 aprile 2014

Salvia e sostanza

Io e te, ragazzi cresciuti, invecchiati per l'amore che abbiamo dato. Io e te, bruciamo giorno dopo giorno e siamo legno ancora verde dentro.
Ti credevi morto?
Ti credevi sostanza secca?
Ti sei sbagliato fratello. La salvia cresce nel giardino, là fuori.
Le sue piccole foglie nuove sono bagnate da gocce blu.
Era la pioggia di questa notte, non l'hai sentita?
Io sì. Mi sono affacciata e ho visto il cielo cieco. Le nuvole si muovevano fuori dalla nostra casa e aprivano le braccia come per avvolgerci, proteggerci nel loro gelo.
E poi le gocce, fredde, sui tulipani, sui giacinti sfioriti, su di me.
Avrei voluto parlare alle nuvole, ma se ne sono andate. Mi hanno lasciato solo il ricordo dell'acqua addosso.
Io e la salvia.
Non avere paura di me e dei miei incubi. So risorgere ogni volta dalle mie assenze.
Fratello, ascoltami, cucinerò per te queste foglie turbate e dimenticherò tutto, un'altra volta.



                                                Disegno di Milena Poggio