giovedì 31 dicembre 2015

E l'inverno se ne andrà, anche senza gridare.

Era gennaio. Le strade avevano perso tutti i colori. Avevo freddo. La mia famiglia era lontana, ero scappata da loro, avevo rinnegato i loro insegnamenti; ero una derelitta, una perdente.
Non potevo fare altro che tossire, osservavo il fumo che usciva dalle labbra. Io e il mio alito, nessun altro in tutta la via. Gli altri stavano festeggiando, io stavo annegando.

Se suono forse non sento questo dolore, se suono forse dimentico. Io, nella mia stanza, gli accordi per sconfiggere il silenzio.
La luce tutt'intorno a me, se mi sforzo posso immaginare il calore della mia infanzia, il caminetto acceso, i sorrisi perduti.
Se mi sforzo posso costruire un mondo migliore, fatto di promesse mantenute, di giardini dai petali umidi di vita, di battaglie vinte da tutti.

E l'inverno se ne andrà, anche senza gridare. L'inverno se ne andrà e mi vedrà diversa. Sarò più vecchia, più forte. Anche quando prenderò quel treno che mi porterà a casa, solo per un momento, un momento solo, non mi sentirò straniera.






mercoledì 23 dicembre 2015

Natale con te

Ecco, ora, in questo istante, io ti sento.
Oltre la morte, oltre i giorni e le notti.
Io ti sento. E tu sei tutto il mio amore, sei il mio passato e sei il mio futuro.
Aria, tempesta, lacrima, sorriso, sospiro.

E in queste ore, in cui tutti brindano, in cui ci si abbraccia, ci si bacia, sotto il cielo così asciutto, il nostro cielo così deserto, io alzo il calice anche per te, per voi.

Io, circondata dagli specchi, coi vostri volti, così vicini e così irraggiungibili.
Buon Natale.
Vi amo, per sempre.









lunedì 7 dicembre 2015

lavoro duro come replicante

Alcune volte S. credeva di non potercela fare. Troppa la polvere nella sua casa, troppe le idee che si affollavano nella sua mente. Troppi i sogni e i desideri, come statuine di vetro, scheggiate dall'incuria e dalle offese. In fondo non erano importanti, lo aveva capito. Non era diversa dagli altri, non era migliore. Si ritrovava a pulire quelle stanze, in un labirinto di scale, di specchi azzurri.
Insegnatemi i segreti,
tutto devo imparare.
Si diceva.
Dove sto sbagliando.
Dove.
E poi doveva riprendere a correre,
a correre,
correre ancora.
Per un istante, nelle vetrine, si vedeva. Era una creatura fuggita dal regno delle favole, precipitata nella vita. Era distrutta, fragile ed esausta.
La strada, davanti a lei, ghiacciata dai silenzi degli uomini, si apriva come le pagine di un libro già letto.
Ora entro nella mia piccola storia.
Nessuno lo saprà.
Nessuno mi vedrà.




sabato 14 novembre 2015

13 novembre 2015

La città del nord, quella notte, si scoprì indifesa.
Piangere non basta, gridare non basta, popoli senza frontiere.
Siete scalzi, avete di colpo così freddo, perché avete visto i vostri fratelli per terra.
C'era del sangue sul pavimento,
sulla pelle, sui vestiti.
La musica si è fermata.

La città del nord amava la musica, gliela strapparono.
Uomini, donne, bambini, nello stadio, si abbracciavano.
Là fuori qualcuno stava uccidendo, uno a uno, persone sconosciute.
Uno a uno.
Uno a uno.
Conta fino a cento, in fondo sono solo colpi.
In fondo sono solo corpi.
E poi ti si aprono le porte del paradiso.
Uno a uno.
Questa è la vendetta per i morti che non vediamo.
Uno a uno.
Ma la morte non resuscita mai.
Uno a uno.
Che prezzo ha la vita? Conta qualcosa una vita.
Uno a uno.
Conta e conta ancora.
C'è troppo sangue, troppo silenzio.
Qualcosa si è spezzato.
Non siamo numeri, siamo sogni, desideri, pensieri.
Fermi, ora.
Fermi per sempre.




sabato 3 ottobre 2015

Quando piove

Quella malinconia che sale quando piove e il mondo si ferma, prigioniero delle piccole gocce.
Quella malinconia io la conosco. Rivedere te, dentro di me, fermo in un istante in cui sorridi e non puoi parlare. Allora mi maledico e maledico questo sortilegio, questo ricordo dolce e crudele, questo vetro d'aria che ci separa per sempre. 

Quando piove qualcosa si scioglie denso, dentro di me.
La mia memoria.
Tutto il mio passato, in minuscole sfere d'acqua.
Io. 


Io sono stata bambina e tu non volevi capirmi.
Io sono diventata una ragazza, incerta, ossuta, per niente attraente.  Ti ho visto per terra, chiedevi aiuto. E un pezzo di me è morto.
Io ti ho visto all'ospedale e sono cresciuta, perché tu eri diverso, eri un essere nuovo, rinato dopo la caduta.
Io, con te. Mi hai vista illuminata.
Io ho sbagliato così tante volte, ho amato in modo distorto e tu temevi per me, per la mia vita.
Sono diventata donna e mi sono liberata, allontanando da me tutte le menzogne.
Una, due, tre volte la mia pancia si è gonfiata, allora hai abbracciato i miei piccoli. E hai pianto, liberandoti da tanto dolore. 
Hai pianto perché eri diventato nonno e ti sentivi perdonato. Hai riscoperto l'amore quando tutto sembrava perduto.

Il tuo corpo per sempre diviso in due. Una parte più forte, l'altra come inerte; eppure tu hai lottato sempre, senza lamentarti. Ti ho visto come un guerriero e ti ho amato per quella tenacia, per quel tuo sorriso, mai finto, sempre sincero.



Il tuo cuore, infine, non ce l'ha fatta e si è fermato. Non più battiti, non più parole, non più sorrisi.
É quella voce che mi manca. 
Ma rimane il ricordo. 
Dio lasciami i ricordi fino alla fine. 
Così potrò risentire tutti i tuoi discorsi, rivedermi sul treno, con te, quando siamo partiti verso il paese dalla tua infanzia. Come due ragazzi in cerca d'avventura.  





sabato 5 settembre 2015

La casa distrutta

Ho perso la conoscenza,
mi è rimasta la gioia, 
per ringraziare, 
per stupirmi davanti ai petali,
alle luci ghiacciate del cielo.

Ho perso tutta la mia sapienza, 
mi è rimasta la voglia di abbracciare, 
e ridere,
guardando le finestre appannate.

Ho perso la ricchezza del pensiero,
mi è rimasta la voglia di ascoltare, 
tutte le storie del mondo, 
negli occhi della gente.




Ho perso l'innocenza, 
ma non lo stupore per lo sguardo dei bambini; 
vorrei custodirli, 
proteggerli, 
guidarli,
in questo mondo troppo veloce,
senza memoria.

Ho perso tutta la mia fantasia, 
sono solo più un'operaia,
mi muovo, 
costruisco piccoli ponti, 
passaggi, 
strettoie, 
nella mia città immaginata.

Se ho perso qualcosa, 
in fondo non importa.
Sono qui per guardare il cielo, 
per raccogliere semi, 
per piangere ricordando, 
per ascoltare il mare.


Se ho perduto, 
perdonami, 
insegnami a riparare
la casa distrutta
dalla nostra rabbia, 
dal nostro rancore.





venerdì 14 agosto 2015

Perchè ti ostini a scrivere, quando nessuno legge più

Perchè ti ostini a scrivere, amica. Nessuno legge più di 20 righe ormai, la frase si è frantumata, il romanzo è morto.
Perchè ti ostini a perdere ore, giorni, momenti preziosi della tua misera vita, per creare universi paralleli, personaggi dall'incerto sorriso, avventure fatte solo di parole?
A nessuno importa.


Forse è così, ma scrivere è per me conservare il pensiero. In un mondo caotico, fatto di immagini in successione sempre più vorticose, io scrivo per ritrovare la memoria. La memoria del tempo, la memoria dei miei ricordi remoti, la memoria di chi ho amato e ora non c'è più.


Scrivo per non perdermi, in questa realtà fatta di storie vissute e subito buttate, scrivo per ritrovare la quiete in tutto questo rumore.
Scrivo per non dimenticare, per fermare sulla carta ciò che temo di perdere, ciò che sono e che ero.
E per raccontare una leggenda, una favola.
Triste, incompleta, beffarda.
Parla di me e di tutti i miei amori perduti.
Tu sai che è così. Gli uomini hanno bisogno d'incanti e di sogni; alcuni dipingono, altri fotografano, altri ancora recitano. Io scrivo. Non è il mio lavoro, non lo faccio per denaro, lo faccio perché da sempre invento storie, fa parte di me.
Allora siediti qui, e ascolta, ancora una volta, questa fiaba, cieca e muta. Le immagini verranno da te e anche le voci, nessuno te le suggerirà.
Fa parte del prodigio.

Volta la pagina.

Ecco,

tutto ha inizio.





lunedì 27 luglio 2015

Canzone rosa d'estate

Salva il tuo destino,
lascia il tuo dolore,
trasformalo in forza; 
così non ti perderai, 
così potrai camminare,
in pace, 
insieme al vento.

Salva il tuo destino, 
ascolta la sua voce, 
dolce e per sempre giovane, 
abbraccia l'aria, 
accarezza l'erba,
le foglie dell'edera,
dei gerani, 
del rosmarino.



Salva il tuo destino, 
sorridi, come faceva lei, 
anche sotto la pioggia,
incessante, 
maligna.
Lei sapeva scrollarsi di dosso
le paure; 
era incantevole, 
così piccola e luminosa,
in tutto quel nero.

Salva il tuo destino, 
guarda dentro al buco
scavato nella terra,
non sarà troppo dolorosa 
la caduta; 
l'hai fatto tante volte, 
tu sai come si precipita, 
giù,
ancora più giù.
E il dolore avrà la forma
di chi ami, 
di chi se ne è andato.
E la mancanza avrà 
il suo volto, 
la sua voce.


Salva il tuo destino, 
torna alla sorgente, 
là dove l'acqua è più fredda, 
là dove la sua storia è iniziata.
Bagnati il viso, 
lascia asciugare le gocce
sulla pelle,
sotto al sole.

Salva il tuo destino, 
guarda in alto, 
amando quegli istanti
di bellezza; 
capitano ogni giorno 
e tu lo sai.

Salva il tuo destino, 
ricomincia a inventare
la tua leggenda immaginaria; 
loro entreranno in te, 
diventeranno la tua 
piccola, 
amara, 
storia d'amore.


mercoledì 1 luglio 2015

La senti amore questa onda che viene e va e ci entra nell'anima

  


Buon compleanno,
in questi giorni amari di perdita. Buon compleanno a te, perdona la mia debolezza. So che insieme saremo più forti. Affronteremo tutte le tempeste, supereremo le sabbie mobili, i pantani, le nebbie della monotonia. Insieme a tutti coloro che abbiamo amato e che ora ci accompagnano in silenzio. Non abbiamo paura dei fantasmi, io e te. Perché siamo precipitati troppe volte; il fuoco brucia e lascia delle tracce sulla pelle e negli occhi. Ora, con questo nuovo dolore, andiamo avanti. Stupiti dalla violenza dell'amore, amore che sopravvive anche dopo la morte.
L'amore che strappa via ogni timore, l'amore che resiste, l'amore che ti brucia dentro ogni cosa; l'incendio dolce e terribile delle immagini felici, immagini che adesso sono graffi interni.
Entriamo nell'acqua ora, laviamo queste ferite, non importa se fa male. La vita è così maledettamente bella, così dannatamente fragile. Vieni, ora tutto passa, ora. Il cielo, l'acqua, il deserto, la pioggia, le mani, il suo sorriso, tutto passa. Eppure tutto resta.






venerdì 19 giugno 2015

Stella bianca nella notte d'estate

Stella bianca nella notte d'estate,
tu sei bagliore nel mio silenzio.

Stella, tu mi parli con una voce che conosco,
dolce, facile al riso,
una voce di ragazza, più che di donna,
una voce di bambina cresciuta in alto, tra le vette.

Raccontami allora la sua storia,
stella,
raccontami di quell'infanzia, perduta tra le rocce più alte,
con sua sorella e il bambino dai capelli rossi,
raccontami del cielo,
immenso sopra di lei,
così piccola, così forte.

Parlami di quei giorni di nuvole e pioggia,
sui prati,
delle corse fino a non avere più fiato,
su, fino alla cascata, dove l'acqua scava e non si ferma.

Parlami dei pomeriggi nella grande città,
dei suoi vent'anni, della sua incerta scoperta del mondo,
e poi dell'amore,
tu lo sai e brilli con violenza.
Dell'amore.

Gocce sugli aghi di pino,
istanti vissuti,
perle,
sorrisi,
abbracci.

Dimmi, quanto tempo ci è rimasto per tutto questo,
stella.
Tu conosci il segreto di questa magica e dolorosa storia:
vivi ogni istante, 
questo mi dici.
Vivi con gioia ogni momento.
Ascolta il rumore dell'acqua,
chiudi gli occhi,
assapora il ritmo del tuo respiro,
ammira il tuo corpo,
così unico, così tuo.
Ama senza risparmio, senza tregua.
Credi fino alla fine alla promessa di un mondo migliore,
realizzala,
per quel che puoi,
per quel che sai,
con i tuoi mezzi.

Nuota, ridi, piangi,
immergiti nell'acqua e ritorna su,
più viva dopo il pianto,
più vera, perchè hai visto l'abisso.



Stella bianca nella notte d'estate,
tu vuoi cantare questa canzone,
così tragica, così incantevole.
E io non farò altro che ascoltarti,
aprendo le mie povere mani vuote,
afferrando l'aria,
imparando le rime
così tanto attese.

Stella, ora vedo il tuo viso,
è un volto di donna,
di ragazza,
di bambina.

Io conosco il tuo nome.










lunedì 25 maggio 2015

Bere non serve

Bere non serve, quando la notte finisce nel bicchiere, ed è troppo tardi per smettere.
Voi agite sempre con così tanta precisione, voi, lasciatemi perdere, io non sono per i vostri quieti salotti. Io sono fatto per sognare e piangere, per ridere forte, se mi va. Sono fatto per inventare storie in cui si parla di Dio e della debolezza, mia e degli altri. Voi snobbatemi pure, io continuerò a cantare queste canzoni d'amore senza speranza. Io cammino con i miei morti, con loro non sono mai solo.
Loro mi parlano del confine del mondo, mi parlano dei tramonti rossi d'incendio, del mare capovolto, così profondo e verde. Loro mi parlano dei fiori quando si aprono all'alba.
E dell'ingiustizia, del sangue sulle strade, dei corpi affondati.
Bere non serve, eppure non ho più lacrime.
Bere non serve, perché non si può dimenticare tutto questo.
Il mio fallimento, la mia povertà.
Datemi una chitarra, un momento effimero di gioia, un giro di accordi, per sorridere ancora, questa sera.

 Alice Pasquini 



martedì 5 maggio 2015

Ti regalerei il sapore delle mele selvatiche

Amica, ti regalerei,
i giorni migliori di maggio,
i petali delle prime rose,
i cieli sconfinati dell'infanzia,
le corse verso la collina,
quando il sole scivola verso l'orizzonte.

Ti regalerei,
il sapore delle piccole mele selvatiche,
quelle raccolte dall'albero,
quelle rubate.

Amica, sorella,
ti regalerei
ogni istante vissuto della nostra storia,
così dolce, così amaro.

Ti regalerei
una favola ingenua,
in cui il male perde
e il bene trionfa su tutto.

Ti regalerei
i ricordi di quelle sere estive,
in cui parlavamo
dei nostri uomini,
e ridevamo di loro
e dei loro limiti.

Ti regalerei
tutta la speranza del mondo,
per poter affrontare questa salita,
senza avvertirne il peso,
senza sentire male.

Ti regalerei
la gioia che ora non ho,
la forza
che ho perso,
ma che voglio ritrovare.

Buon compleanno,
amica mia,
so che mi capirai,
se vedrai le mie mani vuote;
voglio portarti a vedere le lucciole
lampeggiare nel canale,
voglio ridere con te,
come allora,
quando il vento  non ci faceva paura.





venerdì 17 aprile 2015

Genova 2001. Storia di un'utopia interrotta

Ritornare a credersi popolo?
Per noi che siamo figli di un sogno fallito.

Stanchi dei vostri show
partiamo su un treno blindato, veloce,
verso il deserto.

(Luglio 2001)



Io c'ero a Genova, in quell'estate rovente del 2001. Avevo 26 anni, la vita in bilico e la continua voglia di cambiare le cose.
C'ero a Genova, perché credevo in un mondo migliore, più giusto, più equo; perché pensavo che non fosse normale blindare una città per un summit; c'ero a Genova  perchè pensavo che quello fosse il momento perfetto, lì la mia generazione stava concretizzando il mutamento. Non più gli otto grandi che si siedono alla tavola imbandita per decidere le sorti del mondo e gli altri costretti a tacere, dietro la linea rossa. Di colpo, tutto sembrava possibile.
Poi uccisero un ragazzo. Noi partimmo lo stesso, era il 21 luglio, sabato, il giorno dopo quella morte. Eravamo tantissimi, ma avevamo paura. Molti genovesi ci salutavano, erano con noi. Eravamo tutti così giovani e avevamo negli occhi la luce calda dell'estate.
Il cielo però era troppo azzurro e gli elicotteri volavano sopra di noi.
Ci stavano riprendendo, ci stavano filmando.
C'erano anche dei blindati, come a Baghdad. Noi avevamo solo la nostra voce e i nostri corpi.
Sul lungomare il corteo si interruppe, c'erano stati degli scontri, la polizia ci bloccò, Noi alzammo le mani. Poi iniziammo a arretrare, più avanti c'era una carica. L'aria satura di fumo, il suono acuto delle sirene. Il sangue che pompava nelle orecchie. Corri, corri. Mi dicevano. Non fermarti. Avevo freddo, era una guerra e non me n'ero accorta,

Il giorno seguente dovevo lavorare in libreria, per questo non dormii a Genova. Quando scoprii cosa era accaduto alla Diaz e poi a Bolzaneto, piansi.

 Alcuni sostenevano che ce lo eravamo meritati, che eravamo andati in cerca di guai. Molti non capirono cosa stava succedendo. Molti ci condannarono.

Ora la storia ci insegna che alla scuola Diaz non c'erano i Black Bloc, che qualcosa non funzionò in quei giorni abbaglianti e sconvolgenti.

Forse non è troppo tardi per rileggere quella pagina, per ripensare a quei sogni di giustizia e uguaglianza per tutti i popoli del mondo, per riguardare quelle mani alzate verso il cielo, come una resa, il segno di un'utopia interrotta.


giovedì 2 aprile 2015

La tana del coniglio bianco

Sono fatta di sole e silenzio. La pelle disidratata dall'attesa di un segno. Quanti giorni asciugati, aspettando una risposta.
Mi sento inadeguata, mi sento imperfetta.
Una crisalide che non avrà mai le sue ali.
Osservo il mondo, ma la mia vista è appannata, confusa, distante.
Voi potete anche parlarmi, ma io non vi ascolterò.
Perché non posso ascoltarvi.
Le mie storie sono nel vento, frammenti di me, frammenti di altri mondi in cui ho vissuto per pochi istanti, eppure mi hanno segnato per sempre.
Io sono stata prigioniera di quelle pagine, ma in fondo a chi importa?
Cado giù nella tana del Bianconiglio. Ogni volta è così doloroso, ogni volta perdo qualcosa di me e non so se sia giusto.
Porto i segni di quelle cadute, lividi, ematomi, ferite ancora aperte.
Cosa vedrò questa volta?
Io sono pronta.
Conto fino a tre e volo giù.

    Jean-Claude Bélégou



La tana è un labirinto verticale, non si precipita troppo velocemente, si riesce a sentire il rumore dell'aria mentre cadi.
Piccole mensole scavate nella terra contengono i ricordi di una vita o forse di molte vite.
Le fotografie incorniciate di uomini e donne sopravvissuti alla guerra. Lo sguardo lucente e ingenuo dei vent'anni.
E le storie di mio padre e mia madre, il 1968 e poi la distruzione dell'utopia.
La solitudine della nostra infanzia segreta,
l'adolescenza viola,
l'epoca della fuga.
Chi potrà ascoltare queste parole?
La tana è troppo profonda.
Credo che non arriverò mai alla fine di questa storia.




venerdì 20 marzo 2015

La morte del libro

Pubblichi quindi esisti.
Pubblichi e il tuo ego cresce e si autoalimenta.

Non pubblichi, quindi non ci sei.
Non pubblichi, eppure le tue storie vivono in te,
i tuoi personaggi combattono le loro battaglie,
dentro parole luminose
e pause dense di ombre.

Ma per gli altri non ci sei.
Non sei stato abbastanza bravo,
non hai saputo vendere i tuoi sogni,
puoi anche tacere,
grazie
e arrivederci.

L'editore, in fondo,
ha sempre ragione
e il lettore non legge più.

Il libro è morto?
Amici, parenti, compagni di avventure,
voi lo sapete?

Certo che no, mi direte.
Il libro esiste,
il libro resiste.

Eppure quante storie profonde e magiche sono state scartate,
giudicate mediocri,
e quante pagine mediocri
sono state pubblicate.

I posteri parleranno di noi?
Per cosa ricorderemo questi anni?
Per le epopee popolari,
per le trilogie sessuali.

Mi dispiace signori,
ma io, allora, preferisco dimenticare.



venerdì 13 marzo 2015

Broken dreams

Aiutaci, Signore dei vagabondi e dei destini infranti,
a ribellarci alle ingiustizie,
aiutaci a essere forti, 
a non cedere alla tentazione dell'inerzia.
A guardare in alto, tenendo il busto eretto, 
lo sguardo fisso verso la meta.
Aiutaci ad essere degli eroi, 
perché siamo stanchi di questa inettitudine.
Siamo stanchi di questa mediocrità, 

Noi non vogliamo più essere usati, 
non vogliamo più far parte del pubblico, 
non siamo più spettatori, 
ma siamo uomini e donne.
Aiutaci a ritrovare la forza e la fiducia, 
per andare avanti, 
contro le correnti avverse, 
contro le piccole malignità,
ignorando i disfattisti, 
uniti perché perdenti, 
uniti perché disperati.

Se gridare non serve più, 
se non serve più parlare, 
allora canteremo, 
camminando, 
pazzi e lieti, 
verso la collina.












sabato 7 marzo 2015

Dissero che tutto sarebbe finito

Dissero che la nostra storia sarebbe finita presto, dissero che era un fuoco fugace, veloce come la scia di una meteora.
Dissero che tu te ne saresti andato, da mille altre donne più belle di me.
Dissero che io ero strana, sorridevo troppo e forse ero vagamente idiota.
Dissero che le mie poesie erano incomprensibili, le mie storie avevano come protagonisti personaggi disadattati, come me.
Dissero che ero una sbandata, che ero cresciuta con i sovversivi, gli estremisti, i drogati. 
Tu eri troppo seducente, io troppo sbagliata.
Ma noi sfidammo le convenzioni del mondo. 
Tutti, oggi, devono tradire, tutti, oggi, devono infrangere le regole dei nostri avi. E' una ribellione stanca che è diventata consuetudine.
Ancora insieme, io e te. Con tutte le nostre debolezze, io e te. Giovani, vecchi, antichi, camminiamo sotto al cielo percorso da brividi. 
Saltiamo le pozzanghere, evitiamo le buche e ridiamo, come bambini in cerca di avventure. 








venerdì 27 febbraio 2015

Cantastorie dei perdenti

Ho perso, ho perso ancora.
Sconfitta come 10 mila altri uomini e donne. Chi racconterà le mia storia?
Chi racconterà la storia di quella donna che mi guarda ora? Quanti anni hai? Qual è il tuo nome e quanto hai amato?

Cadremo, saremo nella terra, eppure le nostre vite hanno dentro un germoglio vigoroso e così splendente e voi non lo saprete, voi non lo vedrete mai.

Vorrei scrivere le storie degli ultimi della terra, quelli che camminano qui, adesso, su questo marciapiede, quelli che per voi non sono importanti, quelli che per voi non contano.

Vorrei ascoltare tutte le loro avventure e poi trasformarle in storie epiche e leggendarie, lasciando da parte le elaborate metafore, le sottili figure retoriche, per lasciare spazio ai nostri sogni, all'emozioni delle nostre piccole e grandiose vite.

Ho perso, ho perso ancora, ma in fondo non importa.

Canterò una nuova canzone, senza sperare più nulla, canterò fino a che avrò le forze, guardando il fiume stretto lassù, il cielo schiacciato dai palazzi di questa sporca e amata città.




venerdì 13 febbraio 2015

Il mondo imprigionato

Ho viaggiato a lungo, stando qui, in questa casa.

Non ho la possibilità di partire, non ho abbastanza soldi e le mie gambe non me lo permettono.
Sono fragili, le mie ossa si potrebbero spezzare.

Così viaggio con la mente.

In cucina c'è il deserto, la terra rossa, spietata e arida. Nel deserto sento ogni notte cantare il vento, mulinelli di sabbia disegnano volti pensosi e assorti nella contemplazione delle stelle.

La sala è New York, una città trasparente fatta di vetri, colori e rumori. Ballo senza stancarmi nella mia metropoli, sorseggio aperitivi frizzanti e chiacchiero con tutti gli specchi, così ciarlieri, così accomodanti. Le immagini di me sono sempre diverse e volubili. Non mi annoio mai con loro.

Il bagno è una terra ghiacciata e polare. Nella grande vasca scrostata un orso sonnecchia aspettando la luna, tutt'intorno a noi non c'è altro che silenzio bianco. Io mi siedo sul water e mi commuovo guardando quel nulla e cercando un lontano bagliore.

Nella mia camera da letto c'è l'Amazzonia. Il caldo umido dell'equatore mi rende inquieto, togliermi gli abiti non sarà sufficiente, non placherà questo malessere. Dovrò immergermi nel fiume e nuotare tra i pesci colorati, mille sfumature di arancio e rosso, cercando il sole all'orizzonte.

Ho troppo viaggiato ormai e sono stanco.
Il mio corpo trema di emozione, guardando le nuvole sul soffitto.
Si muovono molto velocemente.

Cado giù, sul pavimento.
Non so se riuscirò a rialzarmi.
Dovrò aspettare mia moglie, quando tornerà dal lavoro mi rimprovererà.
Ma io, in controluce, la vedrò bellissima, come un'indigena, scura e selvaggia e allora tutto sarà perfetto.






venerdì 6 febbraio 2015

Uno, due, tre, quattro; quante pecore nel mio letto.

Ci sono periodi strani in cui tutto sembra eccessivamente gravoso. E senti di non potercela fare.
In quei periodi la notte si dilata. Tu, nel letto, distrutto eppure irrimediabilmente sveglio. La notte si popola allora di suoni, parole sussurrate, sguardi che credevi spariti, voci sommesse che ripetono cantilene remote. Non conta che tu sia stanco, la notte ti perseguita.

In quelle ore i fantasmi si siedono vicino a me e raccontano le loro storie talvolta banali, talvolta prevedibili, talvolta così dolorosamente coincidenti con la mia vita.
E a nulla serve maledirli, cacciarli, insultarli. Loro mi accompagnano nella discesa lenta del dormiveglia. Fino al mattino, quando la luce del sole li fa sbiadire.
E per me è troppo tardi.









venerdì 30 gennaio 2015

Nata in un papavero

Quanto tempo ho ancora?

Conta tutti gli istanti, anche quelli non vissuti.

Cosa farò ora? Perchè non esco a respirare l'aria dell'inverno. Oggi è limpida come cristallo puro, ghiacciato.
Quanto tempo ho ancora?

Dimmi che non ho sbagliato tutto, dimmi che non ho perso i miei giorni in inutili attese e vane parole.
Dimmi che ho ancora la possibilità di correre verso il tramonto, laggiù, nel campo.

Io posso contare fino a cento, lasciami i respiri necessari per arrivare fino al sole.

Canteremo tutte le sere una canzone diversa e non dormiremo senza prima esserci abbracciati come fratelli e amanti.
Dimmi che le mie storie ti hanno fatto sognare almeno un po' e io non avrò paura di quella porta in fondo al corridoio. L'aprirò con gli occhi chiusi senza pensare al precipizio.

Io sono caduta troppe volte e questa volta temo di non poterlo sopportare.

Reggimi e insegnami l'amore. Io ho dimenticato tutto, come una bambina nata in un papavero. Custodiscimi e tornerò a volare. E allora non te ne pentirai, perchè saprò farti sorridere e viaggiare anche stando fermo.
Lasciami solo il tempo. Lasciami il tempo per parlarti, per convincerti, lasciami il tempo, perchè non voglio andarmene ora.


 Foto Anita Libera Corsi




venerdì 23 gennaio 2015

La luna ha uno sguardo gentile

La luna ha uno sguardo gentile,
amico,
fratello delle grotte.

Ti tendo la mano
non puoi che stringerla.
E' umida di mare.
Ho rinchiuso i miei respiri
nella conchiglia bianca.
Te la dono.
Ho perso la mia voce.

Cantastorie muta,
mi stendo sulla sabbia.

Ascolto il mio silenzio.

Sorrido.










venerdì 16 gennaio 2015

Cercando la pioggia

Cercando la pioggia, all'alba, quando ancora i palazzi sono neri,
ho trovato un istante,
perduto,
nella mia mente.

Era in una goccia,
fredda e trasparente.

Una goccia di me
bambina.

Giocavo in penombra davanti alle grandi finestre della casa di allora.
Era inverno ed ero sola.
Le perle d'acqua sui vetri disegnavano arabeschi misteriosi
e io sognavo di diventare un'astronauta,
per nuotare tra le stelle.

La gatta socchiudeva gli occhi ascoltando il rumore dolce del temporale,
il sole non sarebbe arrivato quel giorno,
eppure tutto era perfetto.

Il contorno sfumato del giardino sommerso, là fuori,
la voce di mia madre, come una canzone,
i passi affrettati di mia sorella,
le piccole mani sul vetro bagnato che tracciavano le linee di un paesaggio inventato
e tutti i giorni sognati,
desiderati,
vissuti,
una goccia dietro l'altra,
in una pioggia che ho troppo amato.

 Yngve Johnson







sabato 10 gennaio 2015

Labirinti

Fluida come l'acqua dell'inverno più mite, i miei contorni sfumano, sono fatta d'aria e vertigine.

Ho perso le forze,
la mia sostanza si disfa nel letto scomposto.

Sono dentro a un labirinto di foglie bianche, 
vorticano, 
danzano, 
non intendono fermarsi.

Io non vorrei precipitare là dentro, 
vorrei la solidità del suolo,
la terra sotto di me.

Eppure ora sono dentro questo carillon,
dentro questa giostra inceppata, 
ripete sempre le stesse note.

E gli specchi riflettono il mio viso impallidito,
candido come questo cielo senza pace.

Mentre fuori il mondo combatte
una guerra antica e mai risolta.

Il labirinto allora è anche tutt'intorno a me, 
ha invaso le strade delle città.
Le città del nord non credevano che l'odio potesse fare così male.
Lo avevano dimenticato.