La scoperta dell'amore e della morte, in un gioco pericoloso. Si può vivere a metà?
Mille gocce d’acqua, per mille istanti
perduti.
Percorri la scala a ritroso,
ritorna a quei giorni d’estate,
in cui i grilli cantarono questa canzone.
Ora, non ho paura di ascoltarla.
Avrò avuto 4 anni, era pomeriggio e pioveva.
Giocavo con le biglie, le facevo cadere dai gradini della scala a chiocciola di
casa. Piccole sfere di vetro, sul marmo bianco venato di grigio. Chissà se si rompono,
mi dicevo.
Le biglie rotolano fino al piano terra. Ne
raccolgo una. Ha l’anima azzurra, una piccola foglia di mare. E poi li
vedo. Un uomo e una donna, in cima alla
scala. Mi guardano con affetto, sono giovani, eppure hanno negli occhi
l’incanto della notte. Sanno il mio nome. Sanno tutto di me, eppure non possono
toccarmi, non possono parlarmi. Sono lì, ma potrebbero anche essere altrove. Lascio
cadere la biglia, ma non fa rumore. C’è solo il suono della pioggia, un
bisbiglio antico, frammenti di filastrocche sconosciute, poesie interrotte,
lacrime.
Qualche giorno dopo, sfogliando un vecchio
album di famiglia, li rivedo; sono proprio loro: la mia bisnonna Arianna, morta
a trent’anni di parto e suo marito Umberto. Sfioro le foto antiche e piango. Ma
i morti non stanno in paradiso? Che ci fanno i morti a casa mia?
Non volli più andare sulla scala da sola,
costringevo almeno uno dei miei fratelli ad accompagnarmi. Fino a che quel
ricordo si offuscò, diventò un sogno sfumato, avvolto nella nebbia. Crescevo
veloce e pensavo fosse stato un incubo: i morti sono chiusi nelle bare, sotto
terra. Portiamo i fiori a novembre, piangiamo un po’, talvolta, ricordandoli. E
le loro anime vivono in un giardino di rose, in mezzo alle nuvole. Il mio ordine
mentale era stato ripristinato, resettando quell’interferenza dolorosa.
Allora non sapevo che quella storia fosse appena incominciata.
Foto Anita Libera Corsi
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